Quali sono le differenze tra una relazione conflittuale e una relazione violenta in ambito domestico? Ma soprattutto … perché è importante saperlo?
La Convenzione di Istanbul (1), il trattato internazionale di più ampia portata che affronta il tema della violenza contro le donne e della violenza domestica entrata in vigore in Italia nell’agosto del 2014, con la dicitura “violenza nei confronti delle donne” si riferisce a tutte quelle forme di violenza contro le donne fondate sulle differenze e sulla discriminazione di genere e del ruolo socialmente impartito: la violenza psicologica, lo stalking, la violenza fisica, la violenza sessuale, il matrimonio forzato, le mutilazioni genitali femminili, l’aborto forzato e la sterilizzazione forzata, le molestie sessuali.
La violenza domestica contro le donne, va oltre la violenza fondata sulla discriminazione di genere e ruolo, ed è definita come violenza fisica, sessuale, psicologica o economica che si verifica all’interno della famiglia o del nucleo familiare o con gli attuali o precedenti coniugi o partner, indipendentemente dal fatto che l’autore della violenza condivida o abbia condiviso la stessa residenza con la vittima (2).
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Le tipologie di violenza domestica
Come appena visto, esistono delle peculiari forme di violenza domestica e ora le descriverò nel dettaglio:
- con il termine violenza fisica ci si riferisce a tutti quei comportamenti che il partner agisce sul corpo della donna per spaventarla o farle del male. Un esempio ne sono gli schiaffi, i calci, i pugni, e qualsivoglia aggressione che può mettere in pericolo la salute e la vita della donna;
- per violenza sessuale (classificata non più come un crimine contro la morale pubblica, bensì come un crimine contro la libertà personale, Legge n°66 del 1996) si intende qualsiasi atto sessuale o tentativo di approccio sessuale imposto con la violenza o la minaccia; la donna in questi casi viene trattata dell’abusante come fosse “una cosa” in suo possesso;
- la violenza psicologica consiste in comportamenti volti all’umiliazione e alla svalorizzazione della vittima. Può implicare insulti, controllo, minacce, intimidazioni e/o persecuzioni. Tipicamente la donna e le sue capacità (il suo aspetto fisico, le sue capacità cognitive, genitoriali, lavorative) sono oggetto di critiche e giudizi negativi. Questo tipo di violenza può intaccare la struttura identitaria della donna, privandola della libertà di pensiero, dell’autonomia, minandone l’autostima fino ad abbassare la fiducia in sé stessa e quindi minacciando il diritto stesso all’autodeterminazione;
- la violenza economica consiste nella limitazione dell’accesso alle proprie disponibilità economiche o della famiglia. L’uomo violento prende infatti il pieno controllo delle spese, delle entrate e delle uscite, escludendo la donna dalla gestione del bilancio familiare e dunque limitandone ancora una volta l’autonomia;
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Che differenze ci sono tra Conflitto e Violenza in ambito domestico?
È chiaro come l’elemento principale che denota la violenza domestica sia l’asimmetria della posizione di potere e controllo tra i due partner.
Per quanto riguarda il conflitto familiare invece, nella coppia non troviamo asimmetria , entrambi i partner infatti hanno lo stesso grado di potere e controllo e la loro posizione vede pertanto un bilanciamento simmetrico.
Nella distinzione tra le due condizioni ciò che è centrale in situazioni di violenza domestica sono il controllo coercitivo e la sopraffazione da parte del maltrattante. Il fattore dell’abuso di controllo può portare la donna ad annullarsi come individuo e ciò che ne consegue è una limitazione della libertà personale e una sottomissione alle esigenze dell’uomo.
Le emozioni che contraddistinguono i due partner in una relazione violenta sono di terrore e angoscia da una parte e vissuti di onnipotenza dall’altra. In caso di relazione conflittuale invece la paura non è un emozione che la donna prova tipicamente, così come l’uomo non è solito vivere sentimenti di onnipotenza, proprio perchè vivono questa situazione “alla pari”.
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Perché è necessario che si conosca questa distinzione?
Se non si riconosce la dinamica di violenza domestica, ma la si classifica come conflitto familiare si rischia che la donna venga inserita in una condizione di vittimizzazione secondaria da parte delle istituzione che e ciò non permette di legittimare il ruolo di donna come vittima (3).
La vittimizzazione secondaria può essere definita come
“una condizione di ulteriore sofferenza e oltraggio sperimentata dalla vittima in relazione ad un atteggiamento di insufficiente attenzione, o di negligenza, da parte delle agenzie di controllo formale nella fase del loro intervento e si manifesta nelle ulteriori conseguenze psicologiche negative che la vittima subisce. In altri termini, in una dimensione che è al contempo sociale e psicologica, il processo di vittimizzazione secondaria implica una recrudescenza della condizione della vittima riconducibile alle modalità di supporto da parte delle istituzioni, spesso connotate da incapacità di comprensione e di ascolto delle istanze individuali che si proiettano sulla esperienza vittimizzante a causa di una eccessiva routinizzazione degli interventi” (4).
Inoltre, se la condizione dovesse essere etichettata come conflitto familiare invece che come violenza domestica, si andrebbe incontro all’attuazione di un intervento tipico per questo fenomeno: la mediazione familiare.
Questa misura non può però essere adottata nei casi di violenza domestica “Divieto di metodi alternativi di risoluzione dei conflitti o di misure alternative alle pene obbligatorie” (Art.48 della Convenzione di Istanbul). Vediamo perché.
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Vietata la mediazione familiare in caso di violenza domestica
La mediazione familiare è un intervento che permette di trovare le soluzioni migliori ai conflitti inerenti questioni relazionali e/o organizzative. Si rivolge a quelle coppie che hanno deciso di separarsi, ma che non riescono a trovare un accordo circa le questioni economiche, la gestione dei figli, dei tempi e degli spazi. Pertanto è una misura che si utilizza quando tra i due partner/ex partner è presente un rapporto di uguaglianza tra la parti.
Come abbiamo visto prima, nei casi di violenza il rapporto tra i due è caratterizzato da forte asimmetria. Per tale motivo utilizzare tale procedura sarebbe a dir poco svantaggioso e controproducente per la donna vittima di violenza, in quanto non le permetterebbe di “sganciarsi” dalle dinamiche tipiche di un rapporto violento, in altre parole, ce l’avrebbe sempre vinta lui.
Inoltre l’obiettivo della mediazione familiare è quello di trovare un accordo comune tra le parti. In caso di violenza l’obiettivo è invece esattamente l’opposto: allontanarsi dal maltrattante per interrompere il circuito e permettere alla donna di riscoprirsi come individuo autonomo, indipendente e capace.
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Codice Rosso
Prima di concludere è d’obbligo ricordare che è in vigore dall’agosto 2019 la Legge 69/2019 recante le “modifiche al codice di procedura penale e altre disposizioni in materia di tutela delle vittime di violenza domestica e di genere” denominata Codice Rosso.
Tale legge prevede una maggior tutela per le donne vittime di violenza perché velocizza il percorso che garantisce loro sicurezza e protezione: l’agente di polizia giudiziaria infatti riferisce immediatamente le informazioni al pubblico ministero il quale, nell’ipotesi di reato di violenza domestica o di genere, dovrà acquisire le informazioni dalla vittima o da chi ha denunciato il fatto entro 3 giorni.
Inoltre questa legge inserisce ben 4 nuovi reati: revenge porn, deformazione dell’aspetto della persona mediante lesioni permanenti al viso, reato di costrizione o induzione al matrimonio, violazione dei provvedimenti di allontanamento dalla casa familiare e del divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa (5).
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Concludendo
Per concludere vorrei dare qualche dato tratto dal sito www.cadcom.it (Centro Aiuto Donne Maltrattate) (6)
- sono in aumento le segnalazioni di maltrattamenti psicologici, dal 40,9 al 45,6%, ed economici, dal 10,9% al 12,1%. Questo potrebbe essere interpretato anche come un indice di maggiore consapevolezza dei propri diritti e della propria dignità da parte delle donne;
- l’11,3% delle donne dichiara che la violenza è rivolta anche contro i figli;
- il 90% delle aggressioni subite dalle donne si verifica in presenza dei figli;
- il 96% degli abusanti sono uomini che appartengono alla cerchia dei familiari (mariti, conviventi, partner o ex partner, padri o fratelli)
- nel 90% dei casi, le donne maltrattate lo sono state anche durante la gravidanza.
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È pertanto estremamente importante nel 2020, continuare a fare luce su questi temi e contribuire alla divulgazione delle corrette informazioni affinché si possa avere una sufficiente conoscenza per poter comprendere e riconoscere queste situazioni e questi contesti.
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Se dovessi trovarti in una situazione familiare caratterizzata da violenza, puoi contattare i seguenti numeri di emergenza:
- Numero nazionale antiviolenza 1522
- 112 (Carabinieri), 113 (Polizia), 118 (Soccorso sanitario)
- Puoi individuare e contattare il centro antiviolenza più vicino a casa tua (https://www.direcontrolaviolenza.it/i-centri-antiviolenza/)
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Bibliografia
- (1) Convenzione di Istanbul (2013)
- (2) Rapporto di Valutazione del GREVIO sulle misure legislative e di altra natura da adottare per dare efficacia alle disposizioni della Convenzione di Istanbul (2019)
- (3) Corso online “la violenza sulle donne-riconoscerla per intervenire”, Igea CPS
- (4) Rivista di Criminologia, Vittimologia e Sicurezza, 2011
- (5) www.altalex.com/documents/leggi/2019/07/26/codice-rosso
- (6) http://www.cadom.it/la-violenza-domestica
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